Con il Provvedimento N. 488 del 24 Novembre 2016 arriva il secco no dell’Autorità Garante della Privacy alla banca dati on line della reputazione, un progetto per la misurazione del “rating reputazionale” ritenuto non conforme alle disposizioni del Codice sulla protezione dei dati personali e in grado di incidere negativamente sulla dignità delle persone.
Cosa si intende con “rating reputazionale”?
Il progetto sottoposto al vaglio del Garante prevedeva un sistema diretto a calcolare in maniera asseritamente imparziale e oggettiva il cosiddetto rating reputazionale dei soggetti censiti, persone fisiche o giuridiche, per consentire a terzi di verificare la loro effettiva credibilità attraverso una piattaforma web con annesso archivio informatico.
Gli iscritti alla piattaforma avrebbero avuto la facoltà di documentare la posizione propria o altrui rispetto a fatti rilevanti sul piano reputazionale, previo controllo della veridicità e genuinità delle informazioni immesse da parte di appositi consulenti, incentivando così indirettamente l’adozione di comportamenti corretti e trasparenti da enti sia pubblici che privati.
L’intento, insomma, era quello di introdurre l’aspetto reputazionale tra gli elementi di valutazione dei rapporti commerciali, economici, di business attraverso l’attribuzione di un “punteggio”atto a determinare il grado di affidabilità dei soggetti interessati. Ciò, attraverso l’elaborazione informatica di una mole di dati personali contenuti in documenti individuati dal web o caricati volontariamente sulla piattaforma dagli stessi utenti, quali i certificati del casellario giudiziale, certificati di regolarità fiscale, diplomi, denunce, ma anche certificati di riconoscimento al valore civile, partecipazione ad attività di volontariato, provvedimenti giudiziari e articoli di stampa.
L’Autorità Garante, esprimendo parere contrario al progetto, propone un interessante focus sugli aspetti più critici del sistema e sulle rilevanti problematiche per la privacy dovute alla delicatezza delle informazioni utilizzate, alle modalità di trattamento e alle misure di sicurezza.
Pur affermando la legittimità dell’erogazione di servizi che possano contribuire a rendere maggiormente efficienti, trasparenti e sicuri i rapporti socio-economici, il Garante rileva che il sistema presentato e il “rating” da questo elaborato è tuttavia idoneo ad avere forti ripercussioni sulla vita (anche privata) degli individui censiti, influenzandone scelte e prospettive e condizionando la loro stessa partecipazione o esclusione da specifiche prestazioni, servizi o benefici.
La “reputazione” che si vorrebbe qui misurare, come il Garante precisa è “strettamente correlata alla considerazione delle persone e alla loro stessa proiezione sociale, risulta intimamente connessa con la loro dignità, elemento cardine della disciplina di protezione dei dati personali”.
Infatti, uno degli aspetti più interessanti evidenziati nel Provvedimento del Garante riguarda proprio la riflessione sull’opportunità di rimettere a un sistema automatizzato ogni determinazione in merito ad aspetti particolarmente delicati e complessi quali quelli connessi alla reputazione dei soggetti coinvolti. Una riflessione pienamente in linea con le più attuali discussioni in materia di privacy che si richiamano riportando le parole stesse del Garante: “a prescindere, infatti, dall’oggettiva difficoltà di misurare situazioni, parametri e variabili non sempre agevolmente “classificabili” o “quantificabili”, occorre evidenziare che la suddetta (acritica) valutazione potrebbe fondarsi su atti, documenti o certificati viziati ex ante da falsità ideologica, ovvero caratterizzati da alterazioni materiali non facilmente riscontrabili da parte di pur esperti “consulenti” reputazionali, con il rischio, neanche tanto remoto, di creare profili reputazionali inesatti e non rispondenti alla reale rappresentazione – e, quindi, all’identità personale, intesa anche quale immagine sociale dei soggetti censiti.”